doping

IL   DOPING

di Giovanni Lestini



(19) S8.    Cannabinoidi



I cannabinoidi sono un insieme di sostanze, che in natura si trovano nella Cannabis Sativa, una pianta la cui origine geografica, fino ad oggi, è poco chiara: in genere, si ritiene che sia l'Asia Centrale. Il ritrovamento di alcuni reperti tessili, in Cina, dimostra che tale pianta è usata in questo Paese già 6.000 anni fa, per la fabbricazione dei tessuti. Nella letteratura, invece, bisogna attendere il 2.700 a.C., anno in cui in Cina si redige L'erbario dell'imperatore Shen Nung, un trattato di medicina cinese, in cui si descrive l'uso della cannabis. Utilizzata principalmente dai cinesi nelle attività terapeutiche, la cannabis trova la sua applicazione in India, non tanto per le sue proprietà stupefacenti, quanto nelle pratiche meditative e nei rituali religiosi, sotto forma di bevande ed alimenti. Ben presto l'uso questa pianta diventa dominio pubblico, ed è proprio all'interno della popolazione che si iniziano a fumare alcune parti della cannabis, sotto forma di marijuana.
Alcune testimonianze storiche risalgono allo stesso Omero (800 a.C. circa), che nell'Odissea parla del nephente, una bevanda a base di cannabis; Erodoto, nel V sec. a.C., racconta che le foglie secche di questa pianta venivano gettate sulla brace ardente, con la conseguente emanazione di forti odori tossici; il filosofo e medico greco Galeno, nel II sec. a.C., narra le caratteristiche terapeutiche della cannabis; Diodoro Siculo, nel I sec. a.C., esalta l'uso di questa droga, per eliminare l'ansietà dalle donne di Tebe; nelle antiche popolazioni Egiziane la cannabis è usata, oltre che nelle cerimonie religiose, anche nei parti difficili, nella cura della gotta e nell'epilessia (cfr.: Pier Francesco MANNAIONI, Guido MANNAIONI, Emanuela MASINI, Club Drugs. Cosa sono e cosa fanno).
Con il susseguirsi dei secoli, tra scambi commerciali e proibizioni, tra uso terapeutico ed abuso popolare, tra consensi e divieti, l'uso di questa sostanza è giunto fino a noi, nonostante l'attuale divieto, la cannabis ed i suoi derivati vengono usati da molte persone, ignare del danno arrecato da questa pianta. Spesso i giovani (e non solo) affermano: ... ma non è pericolosa ... mi rilassa ... è un modo per evadere ... è usata come terapia per curare alcune patologie ... la usano anche all'ospedale ... e così via ... . Avete mai provato ad assumere una medicina quando state bene? Probabilmente no. E allora perché chi fuma la marijuana o l'hashish e tutti i derivati, compresi quelli sintetici, dice che è terapeutica, se non ha bisogno di medicine? Quando qualcuno afferma che non è "roba" pericolosa, dovrebbe sapere che non è lui a decidere se è o non è pericolosa ... ma il suo organismo. Quando qualcuno afferma che si sente più rilassato o ha bisogno di evadere, dovrebbe sapere che la realtà va affrontata con il cervello di un uomo e non con il cervello alterato dalla cannabis. Tutti alibi, che ciascuno vuole procurarsi per nascondersi dietro un muro di fumo, che annebbia ogni senso di responsabilità, che corrode l'onestà intellettuale, che fa diventare l'UOMO ... sempre meno uomo.
Dall'uso sconsiderato della cannabis, al suo ingresso nel mondo dello sport il passo è breve, tanto che, nel Codice Mondiale Antidoping, i cannabinoidi sono inseriti nella lista delle "Sostanze e Metodi Proibiti in Competizione".
La Cannabis Sativa, varietà Indica, è costituita da circa 400 costituenti chimici, di cui oltre 60 sono rappresentati dai cannabinoidi, ovvero molecole a 21 atomi di carbonio, con caratteristiche farmacologiche che, essendo conosciute soltanto in parte, sono a tutt'oggi oggetto di studio da parte dei ricercatori. Il componente più importante è il delta-9-tetraidrocannabinolo (Δ9-THC), i cui effetti del fumo provocano: ipotensione, tachicardia, euforia seguita da sonnolenza, distorsioni spazio-temporali, potenziamento della vista e dell'udito, depersonalizzazione.
Altri composti di natura simile sono: delta-8-tetraidrocannabinolo (Δ8-THC), cannabinolo, cannabidiolo, cannabicromene.
Le sostanze psicoattive più concentrate vengono estratte dalla resina, che fuoriesce dalla parte superiore delle infiorescenze, anche se tali sostanze sono presenti, in maniera minore, nella parte inferiore delle foglie. Le diverse preparazioni, che si possono ottenere da questa pianta, sono:

- Marijuana - foglie secche, semi, steli, fiori;
- Cannabis - anni 60/70 - sigaretta tradizionale alla marijuana, reefer, (1-3% THC  ∼10 mg a sigaretta);
anni 80/90 - sigaretta moderna - joint; è il risultato di una coltivazione intensiva e di più potenti sottospecie come: sisemilla, skunkweed, netherweed e altre (6-20% THC - 60-200 mg/joint, oltre 300 mg se associato con l'olio di hashish);
- Hashish - resina, secreta dalla pianta;
- Resina di Cannabis - pezzi tavolette e lastre (10-20% THC);
- Olio di Hashish - prodotto di estrazione tramite solventi organici (15-30% THC, talvolta superiore al 65%).
(Fonte: Pier Francesco MANNAIONI, Guido MANNAIONI, Emanuela MASINI, Club Drugs. Cosa sono e cosa fanno)

L'inalazione dei cannabinoidi ha un effetto quasi immediato sul sistema nervoso centrale, in cui si riscontra che la massima concentrazione delle sostanze aspirate si raggiunge dopo circa 15 minuti, con i relativi effetti psichici e fisici, la cui durata varia dalle due alle quattro ore. Dal circolo sanguigno queste sostanze raggiungono in pochi minuti il cervello, i polmoni, il fegato, i reni, ghiandole surrenali e gonadi. Nel cervello i cannabinoidi si concentrano soprattutto nella corteccia frontale, nell'amigdala e nell'ippocampo (la zona limbica, quella delle emozioni), nelle aree sensitive (uditiva e visiva) e motorie. L'eliminazione del THC avviene per il 15-30% con le urine, il 40-60% attraverso l'intestino e la bile, il rimanente 15% circa viene rimesso in circolo. L'eliminazione totale dei suoi metaboliti può richiedere un periodo di tempo che oscilla tra i 25-30 giorni.
Negli anni '90, si è scoperto che l'organismo umano è dotato di due tipi di recettori a cui si legano i cannabinoidi esogeni: il recettore CB1 e il recettore CB2. Il recettore CB1 è presente in gran parte nel sistema nervoso centrale, cioè nel cervelletto, nella corteccia cerebrale, nell'ippocampo, nel ponte, nel talamo e nel midollo allungato, nel midollo spinale, in alcuni sistemi ghiandolari e nei testicoli. Il recettore CB2 è dislocato nel sistema nervoso centrale, nel sistema immunitario e nei bronchi.
I recettori dei cannabinoidi, si legano alla loro molecola specifica, l'anandamide, un "endocannabinoide" che ha, anche se di poco, una maggiore affinità con il recettore CB1. L'anandamide, il cui nome deriva dalla lingua sanscrita ananda, che significa beatitudine, è un neurotrasmettitore, che produce gli effetti delle sostanze presenti nella cannabis, soprattutto per quanto riguarda quelli esercitati dal Δ9-THC. Questo contribuisce alla regolazione di dolore, memoria, processi cognitivi, umore, appetito ed emozioni.
I cannabinoidi sono utilizzati per la terapia clinica della cefalea, dei reumatismi, della stipsi e della malaria. Il dronabinolo (THC sintetico) è già stato somministrato nel trattamento contro l'anoressia, il vomito, la nausea, associati alla chemioterapia antitumorale. Con l'avvento dei nuovi farmaci, la valenza terapeutica dei cannabinoidi si è ridimensionata.
I principi attivi presenti nella cannabis, oltre agli effetti descritti sopra, determinano un rallentamento del controllo motorio, del tempo di reazione, provocando l'alterazione della memoria e dell'attenzione con riduzione della capacità di apprendimento. Gli effetti gratificanti si riscontrano sin dalla prima assunzione, con aumento delle sensazioni piacevoli e con la scomparsa dell'ansia. Questo induce i consumatori di cannabis a ripetere l'esperienza, fino a diventare consumatori cronici, con evidenti alterazioni dell'attività cognitiva e del carattere.
L'effetto analgesico dei cannabinoidi, a livello cerebrale è mediato dai recettori CB1, mentre nelle attività periferiche l'analgesia è dovuta ai recettori CB2. Per quanto riguarda l'apparato respiratorio, i recettori CB2 svolgono un'azione antiinfiammatoria e broncodilatante, ma l'impatto del fumo sulla struttura polmonare è di notevole intensità (cancro polmonare e broncopatia cronica ostruttiva).
Visti gli effetti negativi e l'assenza di prove scientifiche sugli eventuali miglioramenti nelle prestazioni sportive, anche perché tali sostanze inducono ad un rallentamento dell'attività motoria, non si comprende bene perché gli atleti ricorrano all'uso dei cannabinoidi. Probabilmente perché l'uso di cannabis permette di ridurre l'ansia da gara, predisponendo l'atleta ad una migliore condizione psicologica, ma non fisica, prima della competizione, anche se questo non sempre è vero. Infatti, molti utilizzatori riferiscono che l'effetto della cannabis a volte non è rilassante, ma euforizzante; inoltre, possono manifestarsi episodi indesiderati come l'ansia e le allucinazioni fino alla psicosi, con turbe simili alla schizofrenia. D'altronde, la prestazione atletica potrebbe essere compromessa, perché, come detto sopra, c'è un rallentamento dei tempi di reazione, una carente coordinazione motoria ed una alterata percezione spazio-temporale. Si verifica, oltremodo, la «comparsa del fenomeno o effetto trailing (difficoltà nel seguire un oggetto rapido caratterizzata dalla sensazione di vedere una post-immagine ripetuta dell'oggetto stesso lungo la linea del suo percorso, fenomeno già descritto come effetto caratteristico tipico dell'uso di allucinogeni [Asher 1971]) e relativa incapacità di seguire l'azione di gioco soprattutto nei contesti di squadra» (cit. da: Pier Francesco MANNAIONI, Guido MANNAIONI, Emanuela MASINI, Club Drugs. Cosa sono e cosa fanno, Firenze University Press, 2008).
Altresì, la somministrazione di cannabinoidi altera la funzione cardiaca: dosi minime inducono un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, alte dosi provocano la riduzione sia della pressione arteriosa, sia della frequenza cardiaca. Si comprende, pertanto, che durante la competizione, un funzionamento anomalo della struttura cardiaca, può indurre l'atleta ad incorrere in spiacevoli episodi per la propria salute.
Si può concludere affermando che l'atleta ricorrente all'uso dei cannabinoidi, non lo fa per trarne dei "benefici" in competizione, ma, probabilmente perché utilizza tali sostanze in situazioni differenti da quelle sportive. Se solitamente utilizza i cannabinoidi a scopi ansiolitici, potrebbe assumerli con fini dopanti; chi, al contrario, li utilizza per ricavarne un effetto euforizzante, è più difficile che ne faccia un uso in vista della competizione.

(segue...)

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