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Labor omnia vicit improbus (Virgilio-Georgiche)                                                                                                 a cura di Giovanni Lestini

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"Nulla vi è di più pratico che una buona teoria". (Hans Albert)

Il discobolo di Mirone

"Lo sport deve essere considerato uno strumento educativo quando promuove elevati ideali umani e spirituali e quando forma in modo integrale i giovani a valori come la lealtà, la perseveranza, l'amicizia, la solidarietà e la pace. Lo sport, superando la diversità di culture e di ideologie, è un'occasione idonea di dialogo e di intesa fra i popoli, per l'edificazione dell'auspicata civiltà dell'amore."

(Discorso di Giovanni Paolo II al Fùtbol Club Real Madrid, 2002)

Il professore di scacchi

Quando glielo presentarono, al Circolo Sociale del paese, l'uomo non comprese bene il cognome; ma evidentemente non era uno del posto.
L'individuo era alto, canuto e con una barba assai curata, come i dandy dell'epoca di Mansilla. Propose subito di giocare a scacchi. In realtà, l'uomo sapeva appena muovere i pezzi, tuttavia accettò.
Tutte le sere, pazientemente, il forestiero gli dava lezione. Non giocavano, studiavano metodi per ottenere una buona posizione dopo l'apertura, combinare le mosse centrali, concludere in bellezza. Un giorno, il professore gli disse:
«Sa che lei sta giocando molto bene? Ormai di scacchi ne sa quasi quanto me».
L'uomo si sentì lusingato, ma non volle vantarsi.
«La differenza sta nel quasi», disse.
«Sì, può darsi», rispose l'altro, come se pensasse che ormai era ora di andarsene in un altro paese meno noioso.
L'apprendistato durò ancora una settimana. Quando venne la domenica, il professore disse:
«Domani me ne vado; e lunedì...Ma prima, faremo l'ultima lezione».
Cominciarono. La partita era pari, e non si intravedevano possibilità per nessuno dei due contendenti. Erano nella fase centrale del gioco, e il professore, che sembrava preoccupato, non aveva avuto occasione di segnalare nessun errore, come faceva abitualmente nel caso di una mossa debole e scorretta dell'uomo.
Improvvisamente lo guardò, e disse:
«Vuole che giochiamo sul serio?».
L'allievo non parve capire; aveva sempre giocato sul serio. Il professore chiarì:
«Voglio dire che continuiamo la partita fino alla fine, capisce? Senza che io le suggerisca nulla. E' un modo per valutare le sue forze...
L'uomo guardò la scacchiera, osservò accuratamente la propria posizione e la considerò alla luce di tutto ciò che sapeva. La partita era equilibrata e avevano gli stessi pezzi. Ma c'era qualcosa che gli piaceva. Era come l'intuizione che avrebbe vinto, come un desiderio di competere, di rischiare.
Guardò il volto impassibile del professore.
«D'accordo!» disse.
Allora l'altro mosse un pezzo (toccava a lui) e sussurrò:
«Matto».
Era vero.
«E' sorprendente», disse l'allievo. «In apparenza non c'era nessun pericolo.
Eravamo pari...
«E' così, in apparenza», concesse il professore.
L'uomo, ormai rassegnato, commentò mentre si alzavano:
«Non bisogna fidarsi troppo. E' questa l'ultima lezione, vero...Come ha detto che si chiama?»
Il professore rispose:
«Dio».

(Federico Peltzer)